di Marco Malvadi

Non ho mai letto nulla di questo autore e, dopo l’esperienza vissuta con tale libro, pensò che scapperò a gambe levate non appena comparirà il suo nome davanti i miei occhi.
Non voglio essere crudele; penso che ogni libro debba avere la possibilità di essere compreso e vissuto fino alla fine, ma “La misura dell’uomo” non mi ha permesso di arrivare oltre il decimo capitolo.

Noioso e privo di senso.
Questi sono gli aggettivi che, per me, identificano l’opera (se così possiamo chiamarla) di Malvadi.
La storia poteva essere interessante ma è stata sviluppata in modo a dir poco sbagliato. L’ironia eccessiva allontana il lettore dalla narrazione, la quale a tratti appare storica e a tratti richiama la civiltà moderna. Inoltre, l’autore usa riferirsi al lettore nel bel mezzo delle vicende e questo destabilizza, secondo il mio modesto parere.

Dal punto di vista stilistico e grafico, i dialoghi sono veramente confusionari. L’uso del trattino iniziale non è mai seguito, alla fine della frase, da un ulteriore segno di punteggiatura che faccia capire al lettore che quella è una frase bella e conclusa.

L’aspetto da “romanzo giallo” è sviluppato veramente male, con una indagine poco accattivante e quasi surreale.

Ma, all’epoca, la statistica era ben al di là dal venire, l’uomo medio ancora non era stato scoperto, e il popolo poteva palesare la propria volontà solo acclamando. O rivoltandosi.

Non ho per nulla gradito questo libro e non posso che attribuirgli 1 stella ⭐

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